👀 Quando smettiamo di cercare musica nuova? (La risposta non è 42)
Contiene anche il Disco del Mese, Bright Eyes, The Hard Quartet, Soccer Mommy, Xiu Xiu, Karate, un libro, una spilla e un poster a colori!
Nel corso della mia vita ho sperimentato e continuo a sperimentare diverse modalità di ascolto, ricerca e scoperta di nuova musica.
Ad esempio da adolescente chiedevo ai miei amici e amiche di registrare delle cassette con i propri gruppi preferiti. Lo facevo pensando - spesso sbagliando - che anche per loro condividere le canzoni preferite fosse un modo per raccontarsi, così come lo era per me. Oggi invece mi divido fra ascolti enciclopedici, per la curiosità di conoscere più cose possibile della musica e ascolti compulsivi degli stessi brani che ascoltavo da ragazzo, questo lo faccio nei momenti più stressanti e lo definisco “la mia copertina di Linus”.
L’idea di questo approfondimento nasce da una mia curiosità: quando smettiamo di cercare nuova musica?
Secondo Theodor W. Adorno esistono diversi tipi di ascoltatori (Introduzione alla sociologia della Musica del 1962) e due di questi tipi riguardano questo tema: gli ascoltatori passivi e gli ascoltatori che esplorano i generi alla ricerca di nuova musica.
Insomma, non siamo tutti uguali, ma come spiega Adorno fra questi due tipi gli ascoltatori passivi sono quelli più facili da accontentare dall’industria musicale, senza contare che la mente umana “premia” quando le viene presentato qualcosa di familiare. Allora cosa ci spinge a cercare musica nuova?
È quello che devono essersi chiesti a Pitchfork quando hanno commissionato a Jeremy D. Larson questo articolo dal titolo Why Do We Even Listen to New Music?
Secondo Jeremy D. Larson le persone che esplorano nuova musica generalmente sono accomunate da un'alta apertura mentale e una certa curiosità intellettuale. Questa attività di ricerca (che verosimilmente può essere allargata anche ad altre arti) quando appagata favorisce l’emissione di dopamina, associata al piacere della scoperta.
Anche Seth Stephens-Davidowitz (economista, opinionista e autore de La macchina della verità. Come Google e i Big Data ci mostrano chi siamo veramente) ha affrontato il tema analizzando alcuni dati condivisi da Spotify e ha confermato che la musica che ascoltiamo da adolescenti influenza fortemente i nostri gusti futuri. In particolare gli uomini tenderebbero a preferire generi, brani e gruppi conosciuti quando avevano circa 14 anni, mentre per le donne l’età di riferimento è 13 anni. Puoi leggere altre sue considerazioni sul tema in questo articolo pubblicato sul NYT.
L’effetto nostalgia (indagato anche da Simon Reynolds nel suo Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato) non è solo un’ipotesi. In questo articolo il data journalist Jamie Ballard analizza i risultati di un sondaggio condotto da YouGov sottolineando una forte propensione alla musica dei nostri anni adolescenziali. Un fenomeno che è ricorsivo e trasversale fra le differenti generazioni, ognuna delle quali è convinta che la musica era migliore “ai miei tempi".
Oltre agli aspetti culturali e generazionali concorrono anche aspetti legati alla personalità. Uno studio dell'Università di Cambridge dal titolo Musical tastes offer a window into how you think ha osservato che il tipo di "stile cognitivo" di una persona ha un'influenza significativa sui suoi gusti musicali. Ad esempio chi ha una forte capacità empatica spesso preferisce musica rilassante e melodiosa come R&B o folk, mentre chi è più incline alla schematizzazione rigida tende a scegliere generi più “intensi” come rock o jazz.
I dati in possesso di Deezer (un competitor di Spotify) pubblicati su Business Insider confermano alcune osservazioni fatte in precedenza anche da Seth Stephens-Davidowitz e Jamie Ballard e aggiunge un limite: in media le persone smettono di cercare nuova musica a 31 anni. Le motivazioni sarebbero legate principalmente al maggior numero di impegni che sopraggiungono, come il lavoro e la famiglia, lasciando che la scoperta di nuova musica faccia spazio a quello che ascoltavamo da giovani.
Quando smettiamo di cercare musica nuova? La risposta è 31 (semicit.)
Da oggi (qualunque sia la tua età 😉) puoi scoprire musica nuova ogni mese iscrivendoti alla Playlist di Indie Riviera.
The Neon Gate dei Nap Eyes
In mezzo a tante uscite monstre questo mese conquistano il gradino più alto del podio i Nap Eyes con The Neon Gate.
I Nap Eyes sono una band indie rock canadese originaria di Halifax, in Nuova Scozia, attiva dal 2011 e portabandiera della Paradise of Bachelors, un'etichetta discografica del North Carolina, acclamata dalla critica e nominata ai Grammy.
The Neon Gate deve i natali alle demo acustiche che Nigel Chapman (frontman della band) ha registrato con l’aiuto di una drum machine durante il periodo COVID. Le intuizioni di Nigel hanno poi assunto la profondità e l’organicità di un vero e proprio album grazie all'apporto degli altri membri del gruppo: Brad Loughead, Josh Salter e Seamus Dalton.
La band ha saputo valorizzare il patrimonio emotivo di quei giorni, senza snaturarlo ma trasformandolo in un’opera coesa e collettiva. L’ascolto rivela una fragilità palpabile espressa attraverso testi che affrontano argomenti come la filosofia, la fisica e la fantascienza; dipanati su un tappeto di ansia tipica di quelle settimane. Il tutto arricchito da riferimenti e citazioni sia pop che letterarie, dai videogiochi Nintendo a Yeats.
The Neon Gate è un disco post-rock e guitar pop insieme, costruito su tracce lunghe e ipnotiche in cui le chitarre acustiche e quelle elettriche si fondono in un abbraccio di riverberi e sintetizzatori. Otto tracce su dieci superano i sei minuti, invitando ad una fruizione lenta e contemplativa, dove ogni brano si svela poco a poco per restare a lungo nelle orecchie dell’ascoltatore.
The Neon Gate così intimo e malinconico, così fragile ma potente, fa dei Nap Eyes una delle band più originali dell’indie contemporaneo.
Make it Fit dei Karate
Nel 2004 ho affrontato un lungo viaggio in auto da Rimini fino a Budapet. Fra le cassette sparpagliate sul cruscotto c'era Pocket dei Karate, sul quale dovevo scrivere un articolo per la rivista Losing Today. Quando non era il mio turno alla guida riavvolgevo il nastro da capo e segnavo appunti sul mio taccuino. Allora funzionava così e forse ero felice ma non lo sapevo.
Quello che di sicuro non potevo sapere è che quello sarebbe rimasto l'ultimo album in studio dei Karate per i successivi 20 anni. Poterti raccontare oggi di questo ritorno sulla scena con Make it Fit, mi fa provare un senso di compiutezza e di gratitudine.
Un passo indietro.
I Karate sono nati a Boston nel 1993 da un'idea del chitarrista e cantante Geoff Farina, del bassista Eamonn Vitt e del batterista Gavin McCarthy. Sono stati in attività dal 1994 al 2005, con un’idea artistica che affondava le radici nel punk hardcore, passando attraverso un approccio jazz rock da absolute beginners (qui sta l’originalità del gruppo), nel post-rock fino ad arrivare allo slowcore che probabilmente è la definizione che meglio li descrive (anche se Farina è sempre stato restio a queste etichette).
La band si è poi sciolta nel 2005 per volere di Geoff che era tormentato da vari acciacchi, fra cui una fastidiosa acufene. Proprio quest’ultima lo ha fatto virare verso un'esperienza solista contraddistinta da sonorità più tenui, un’esperienza che oggi pare avere una ricaduta anche su Make it Fit, come suggeriscono alcuni pezzi alternative folk (Fall to Grace) e cantautorali (Liminal). A parte questi, il suono dei Karate è ancora costituito da un nucleo slowcore duro e puro (Around the Dial), da rock, math rock e incursioni free jazz; di fatto gli ingredienti che hanno fatto dei Karate una delle band iconiche della scena indie statunitense sono ancora tutti ben presenti.
Bentornati!
Memorial Waterslides dei MEMORIALS
I MEMORIALS sono la risposta ad una domanda mai posta: esiste un gruppo in grado di coniugare il dinamismo delle Electrelane e le atmosfere ambient pop dei Broadcast?
La risposta è: sì, i MEMORIALS!
I MEMORIALS sono un duo formato da Verity Susman (ex-Electrelane) e Matthew Simms (ex-Wire), inizialmente i due hanno collaborato a qualche colonna sonora nei primi anni 20 finché la sincrasi è sfociata in Memorial Waterslides, il loro disco d’esordio pubblicato per la Fire Records.
Il post punk di Memorial Waterslides corre come un torrente in piena portando con sé l'urgenza delle Electrelane, con la stessa tensione irrequieta e solo a tratti domata da paesaggi psichedelici e sintetici che ricordano i Broadcast. Ogni canzone sembra la colonna sonora di un film immaginario, un sogno che si scompone e si ricompone in suoni.
Non mancano momenti di introspezione, come Name Me e Horse Head, che rallentano il ritmo e ti lasciano galleggiare nell’etere, ma anche momenti di free jazz noise come Memorial Waterslides II.
Da provare.
Five Dice, All Threes dei Bright Eyes
I Bright Eyes sono nati come progetto solista di Conor Oberst, quando da adolescente strimpellava i primi accordi nella sua cameretta a Omaha, in Nebraska. A volte chiamava a supportato una formazione di amici musicisti, che man mano si è consolidata in un vero e proprio gruppo.
Nei primi anni 2000 i dischi dei Bright Eyes, pubblicati dall'etichetta indie di Oberst, la Saddle Creek, sono stati fra i più credibili prosecutori del solco tracciato da formazioni lo-fi quali Pavement e Pixies.
Five Dice, All Threes, pubblicato dalla Dead Ocean records arriva sugli scaffali (digitali) a 4 anni di distanza dal disco precedente. Si tratta di un disco catchy pop e lo-fi che cattura sin dal primo ascolto. Anche furbo, se vogliamo, nelle sue traiettorie melodiche ma allo stesso tempo autentico e sincero nelle liriche (come Conor ci ha abituati).
Il disco, autoprodotto, è luminoso e vivace, anche grazie a xilofoni, fiati, banjo, piano, organo, melodie fischiettate e arricchito da diverse collaborazioni fra cui spiccano quella con Matt Berninger dei The National in The Time I Have Left e il duetto con Cat Power in All Threes.
I solchi di Five Dice, All Threes sono intarsiati con perizia e cura d’artigiano, come se ogni brano fosse ancora inciso nella cameretta di Conor a Omaha.
13" Frank Beltrame Italian Stiletto With Bison Horn Grips degli Xiu Xiu
Gli Xiu Xiu sono un duo statunitense nato nel 2002 da un'intuizione di Jamie Stewart che ha poi trovato compiutezza nel 2010 con l'ingresso nella line up di Angela Seo.
Sono stato un fan del gruppo sin dal loro esordio con Fabulous Muscles del 2004 e posso assicurarti che gli Xiu Xiu sono un gruppo senza compromessi. La loro bellezza non convenzionale è data dall'integrità della loro idea di musica e di arte, fedele solo a se stessa. Hai presente la fiera bellezza e la mortifera pericolosità di un predatore?!? Ecco, quella sensazione lì.
Gli ultimi dischi della band sono stati parecchio intensi e musicalmente estremi anche per gli standard della band, talmente sperimentali e caratterizzati da suoni cupi, industrial e noise da essere a tratti inaccessibili.
13" Frank Beltrame Italian Stiletto With Bison Horn Grips, pubblicato dalla Polyvinyl Records, rappresenta l'ennesima evoluzione della band: era nelle intenzioni di Jamie tornare ad incidere un disco rock psichedelico più accessibile dei precedenti. L’obiettivo è stato centrato e forse non è un caso che questo cambio stilistico coincida con il trasferimento della coppia da Los Angeles a Berlino.
13" Frank Beltrame Italian Stiletto With è un sontuoso disco post-punk dalle tinte synth pop dark e dalle trame decisamente psichedeliche.
Se stai rimandando da tempo l’incontro con gli Xiu Xiu questo potrebbe essere il momento giusto per recuperare. Se ti muovi cautamente forse si lasceranno avvicinare.
Evergreen di Soccer Mommy
Dietro il moniker di Soccer Mommy si cela Sophie Allison, cantautrice statunitense domiciliata a Nashville, nel Tennessee e votata all'indie rock degli anni 90.
Sophie ha dapprima frequentato la Nashville School of the Arts e in seguito, durante gli anni alla New York University, ha iniziato a registrare canzoni che caricava online con lo pseudonimo con il quale è più conosciuta: Soccer Mommy.
Evergreen è il quarto LP di Soccer Mommy ed è stato registrato nei Maze Studios di Atlanta con la riconoscibile produzione di Ben H. Allen, già noto per le sue collaborazioni con Deerhunter e Belle & Sebastian. La chitarra resta ancora una parte centrale nel sound di Soccer Mommy, ma fanno capolino anche strumenti inusuali per Sophie, come archi e flauti, che arricchiscono l’atmosfera con una delicatezza inaspettata.
Il disco dà continuità all’estetica DIY che ha segnato le prime registrazioni di Allison, mantenendo quell’autenticità da “cameretta” che tanto ci affascina. I testi appaiono più maturi e autentici: se prima cantava di non voler essere "il tuo fottuto cane", ora esplora temi come il dolore, la perdita e il peso della memoria.
L’opera più personale ed intima della sua carriera, sinora.
The Hard Quartet dei The Hard Quartet
The Hard Quartet non è "solo" l'ennesimo progetto di Stephen Malkmus (mente, cuore e anima dei Pavement) ma un vero e proprio supergruppo formato anche da Matt Sweeney (cantante, chitarrista e produttore già al fianco di Cat Power, Johnny Cash e Adele), Emmett Kelly (chitarrista dei Cairo Gang e The Double già collaboratore di Bonnie “Prince” Billy e Ty Segall) e Jim White (batterista di Dirty Three).
La malsana idea dell’ennesima super-band è venuta a Sweeney, il quale propose la cosa a Malkmus in una delle tante call durante la pandemia. L'obiettivo dei due era quello di fare musica al di fuori di qualsiasi tendenza o standard commerciale, costituendo una collettivo senza leader (in realtà nonostante Malkmus finga spesso di essere un cazzone, la sua personalità è difficile da arginare e la sua voce è riconoscibile in più della metà dei pezzi).
Il rischio che ne uscisse un Frankenstein è stato scongiurato. Malkmus, Sweeney e Kelly si alternano fra voce, chitarra e basso, mentre White è il titolare alla batteria.
The Hard Quartet (self titled) pubblicato dalla Matador Records ci riporta a un’epoca in cui l’indie rock sfidava confini e generi senza l’ossessione di rientrare in etichette commerciali. Le ballad si infilano tra riff grezzi e progressioni ardite, dando vita a un sound crudo, crivellato di chitarre, eppure raffinato.
The Hard Quartet è molto più della semplice somma delle parti, è anima intrappolata nel vinile e un tributo alle radici del genere. Insomma, la tipica roba da dinosauri che ci piace parecchio.
Bassa fedeltà. Storia distorta dell'audiocassetta di Marc Masters
So che può sembrarti strano e forse difficile da credere, ma trovo questo libro che sto leggendo appassionante e coinvolgente come un thriller, anche se non c’è ancora stata nessuna vittima. Eppure quando la musicassetta fece il suo ingresso in scena, nel 1963, i toni erano quelli di un funerale: “Home taping is killing music”.
La musicassetta è stata sovversiva nel ribaltare per un decennio lo status quo dell’industria musicale, prima del peer-to-peer e di Pirate Bay. La musica, al tempo, era legata a doppio filo al suo supporto fisico e non potevi avere l’una senza avere (e pagare) anche l’altro. In questo modo, controllando la distribuzione dei supporti, era molto semplice controllare i diritti d’autore, le royalties, gli incassi e il mercato.
La musicassetta è stata la prima breccia nelle barricate che le major avevano innalzato attorno ai loro capitali, perché, con la musicassetta, le persone potevano registrare e diffondere musica in autonomia e fuori dai circuiti controllati. Attraverso questa falla si è insinuato l’universo Punk, DIY e Indie dilagando inesorabilmente fino a conquistare una fetta di una torta che un tempo poteva solo sognarsi.
Dopo aver dominato il mercato negli anni 80 le musicassette hanno poi vivacchiato nei 90 come fenomeno di nicchia e veicolo di certe sottoculture noise e d’avanguardia. Oggi le cassette fanno registrare numeri piccoli, ma in crescita. Secondo la British Phonographic Industry (BPI) le vendite di cassette nel 2022 sono cresciute per il decimo anno consecutivo, superando le 195.000 unità (nel 2012 ne sono state vendute appena 3.823).
My job here is done
Alla prossima!
(Hai notato che non scrivo mai “A presto”?)
🛌 Io, l’autore
(Questa parte qui sotto la devi leggere con la voce di Troy McClure)
Ciao, sono Francesco, forse ti ricorderai di me per la webzine Indie For Bunnies di cui sono stato co-fondatore, o per qualche pezzo pubblicato sulla rivista musicale Losing Today, o per le mie doti comiche "Qual è il gruppo preferito di un cartolaio?" "I Moleskine!"; o per altri Super Poteri di Merda™ come questo (seguimi per altre eroiche imprese).
Se invece è la prima volta: sei su Indie Riviera la newsletter che una volta era un blog (una volta qui era tutta blogosfera) e oggi è un avamposto indie in cui scrivo di dischi, etichette, industria musicale, libri e cultura pop in generale.
Ho 35 anni e devo ammettere che ogni tanto sento il bisogno di tornare ad ascoltare la musica della mia adolescenza. Di musica nuova ne cerco sempre meno, vero, ma leggere questa newsletter è un piacere e mi permette di scoprire artisti che altrimenti non avrei intercettato 🙂