🦕 Album Vs. Singolo, uno dei due è da dinosauri, ma quale?
Ma anche il disco del mese, i Cure, i Porridge Radio, gli Yesness e Kim Deal
Mentre tutti parlano dello Spotify Wrapped 2024 la curiosità mi porta a dilungarmi su Culture Next, il rapporto di fine anno in cui Spotify indaga le abitudini di ascolto della Generazione Z (per la Generazione Z Spotify è una sorta di compagno di vita). Fra i dati di quest’anno uno mi ha colpito particolarmente: il 34% degli utenti scopre nuova musica tramite playlist create direttamente da Spotify. Fra queste spicca soprattutto la Release Radar, una playlist di nuove uscite aggiornata ogni venerdì e redatta da editor della piattaforma, ai quali gli artisti possono proporre i propri brani nuovi per finire nelle Release Radar dei propri follower.
Questo dato mi ha portato a riflettere sulle attuali strategie di rilascio di nuova musica da parte degli artisti e sul ruolo del singolo nell’industria musicale odierna. Ho raccolto le mie considerazioni in questo approfondimento.
In principio era il singolo.
Fino alla fine degli anni 50, prima della nascita dello star system come lo conosciamo, il formato più diffuso per la commercializzazione della musica era il singolo discografico. Semplificando si potrebbe dire che il format canzone era più importante di chi la interpretava.
Non a caso è del 1942 il singolo più venduto al mondo, si tratta di White Christmas di Irving Berlin eseguita da Bing Crosby, che con circa 50 milioni di copie fisiche stimate è considerato dal Guinness World Records "il singolo più venduto di tutti i tempi" .
Negli anni 60 la televisione portò scompiglio anche nella musica, diventando un importante media per la promozione delle artiste e degli artisti, tanto che nacquero programmi musicali come American Bandstand e The Ed Sullivan Show. In questo humus le band diventarono dei veri e propri brand in grado di influenzare le abitudini dei consumatori. Il singolo non era più sufficiente a veicolare tutto il valore del brand-band e l'album divenne il testo sacro di un nuovo culto.
In quegli anni (e per tanto tempo ancora) gli album non erano solo una collezione di brani, ma più spesso opere concettuali, coerenti, con un valore artistico e identitario. Attraverso questo le band portavano sullo stereo un racconto completo e personale che nel suo complesso andava molto oltre alla somma delle singole tracce.
La religione del "quando esce un nuovo album?" venne messa in discussione all'inizio degli anni 80, quando con la nascita di MTV (1 agosto 1981) gli LP subirono un calo nelle vendite a discapito del (indovina chi?) singolo.
Da quel momento in poi i singoli iniziarono ad uscire accompagnati da un video musicale che veniva passato a rotazione sulle TV e se il video era ben congeniato la popolarità del singolo diveniva smodata. L'industria discografica, già stressata dalle musicassette registrabili, non stette con le mani in mano e cercò di contrastare il calo delle vendite degli album limitando il numero e la frequenza di pubblicazione dei singoli.
Le pop star invece, grazie al tubo catodico, divennero delle icone globali, costringendo le etichette ad un nuovo modello di lancio delle novità. La nuova strategia funzionava più o meno così: anche se una pop star avesse sfornato 10 masterpieces nella stessa sessione di registrazione, il produttore e la label avrebbero comunque puntato su 4 o 5 singoli forti e completato il disco con pezzi "riempitivi". Questo perché i brani migliori di ogni album, che sarebbero usciti come singoli accompagnati da altrettanti video, non dovevano rubarsi posizioni in classifica fra loro.
Inoltre una manciata di singoli rilasciati a distanza di qualche mese l'uno dall'altro, davano alla band giusto il tempo necessario per uscire in tour e registrare un nuovo disco.
Infine l’estinzione dell’Album Era si è definitivamente avviata - senza che ci fosse bisogno di alcun meteorite - quando con il digitale la musica ha cominciato a separarsi dal suo supporto fisico. Come data spartiacque potremmo tenere il 23 ottobre 2001: la data dell'annuncio al mondo dell’iPod.
Su iTunes la disponibilità di un Mp3 per ogni singolo brano, favoriva l’acquisto di singole tracce rispetto agli album completi. Se gli ascoltatori fedeli ai propri gruppi preferiti continuavano ad acquistare gli album, gli ascoltatori occasionali cominciarono a collezionare brani di artisti differenti, creando raccolte di canzoni non più basate solo sull’autore, ma su altri criteri.
Questa nuova abitudine di ascolto è poi passata dal download di Mp3 alle piattaforme di streaming, tanto che oggi l'industria musicale è completamente focalizzata verso la "cultura della novità", in cui il diktat è la pubblicazione regolare di nuovi singoli in streaming per mantenere alto l'engagement del pubblico.
Il nuovo modello ha sì definitivamente ridotto l'importanza dell'album, ma a conti fatti non fa bene nemmeno al singolo! I singoli come li conosciamo oggi non sono certo i singoli degli anni 80 o 90: in passato i singoli restavano in rotazione radiofonica per mesi e avevano video artistici, oggi il ciclo di vita di un singolo è molto più breve, si parla di giorni, presto si parlerà di ore.
Conseguentemente con le nuove modalità di fruizione sono cambiate anche le strategie di promozione degli artisti. Oggi la strategia più comune per rilasciare nuova musica è la cosiddetta "pubblicazione a cascata", ovvero rilasciare i brani sulle piattaforme uno alla volta, a intervalli regolari, come se fossero dei singoli (anche se in realtà non lo sono). In questo modo si ha il tempo di proporre ogni singola nuova canzone alla Release Radar, visto che gli editor su Spotify accettano solo 1 brano per artista a settimana.
Dopo aver pubblicato quasi tutti i brani a cadenza regolare, sotto le mentite spoglie di singoli, gli artisti rilasciano l'album intero facendo in modo di usare gli stessi ISRC che si hanno generato quando si sono pubblicati i brani la prima volta. Gli ISRC o International Standard Recording Code sono degli identificativi univoci delle registrazioni audio e video acquistabili presso la FIMI o gratuite caricando i propri pezzi sulle piattaforme. Facendo così le statistiche di ascolto di ogni brano verranno sommate conteggiando sia gli ascolti in formato singolo pompati dalla Release Radar, che gli ascolti dello stesso brano all’interno dell’album.
Alla fine di questa storia, i numeri sembrano essere l’unica cosa che conta.
Non sono contro i risultati, ma una volta c’era la possibilità di un percorso. Le case discografiche prendevano un artista e gli facevano fare due-tre dischi. Oggi lo prendono e gli fanno fare San Siro. È tutto molto dopato. Non permette agli artisti di crescere. È tutto marketing e pochissimi contenuti. Tutti i pezzi sono uguali, ha ragione Morgan, perché scritti dagli stessi team di autori. Per l’algoritmo funziona molto bene, per la creatività no.
Ballads of Harry Houdini di Papa M
Harry Houdini (citato nel titolo) è stato probabilmente il più grande illusionista ed escapologo della storia, celebre per le sue fughe impossibili.
Papa M torna sugli scaffali con questo album a sei anni di distanza dal precedente, con un sound completamente diverso rispetto al rilassato e minimale A Broke Moon Rises.
A questo punto non mi è così chiaro chi tra Papa M e Houdini sia il trasformista e maestro di fughe, ma di sicuro l’auto ironia è una della frecce nella faretra di Papa M.
Papa M è lo pseudonimo dietro al quale si cela David Pajo polistrumentista americano universalmente conosciuto per il suo contributo come chitarrista nella band post-rock seminale degli Slint (se non li hai mai ascoltati, qualsiasi cosa tu stia facendo, interrompi e vai ad ascoltarli).
Dopo lo scioglimento degli Slint David ha portato il suo contributo a molte altre band, suonando e registrando con Will Oldham, Tortoise, Stereolab, Yeah Yeah Yeahs e Interpol, solo per citarne alcune. Oggi, con i suoi tempi, porta avanti la sua idea artistica.
Ballads of Harry Houdini, edito da Drag City è per la gran parte un disco strumentale, di cui ben quattro brani su sei superano i 6 minuti. Il disco è interamente costruito su chitarre elettriche e registri math e post rock, con un organicità che riesce a tenere alto il tiro per tutta la durata del disco.
Nonostante i depistaggi degni del miglior escapologo del mondo, un paio di ballads ci sono veramente e qui dopo tanto tempo ritroviamo la voce di Pajo, abrasiva e profonda più che mai (Ode to Mark White e Rainbow of Gloom).
Confesso di avere un debole per chi ha un rapporto così intimo con la propria chitarra e certi dischi riescono proprio a farmi tremare le ginocchia: disco del mese!
Clouds In The Sky They Will Always Be There For Me dei Porridge Radio
I Porridge Radio sono una band di Brighton guidata dalla cantautrice e chitarrista Dana Margolin. Appena debuttanti nel 2016 con Rice, Pasta and Other Fillers, in pochi anni sono passati da alfieri dell'underground made in UK a una delle indie band di maggior interesse del loro paese.
Sono stato indeciso fino all'ultimo se proporre Clouds In The Sky They Will Always Be There For Me (titolo meraviglioso) come disco del mese su Indie Riviera, ma devo dire che non tutti i pezzi dell'album riescono a mantenere le aspettative generate dai dischi precedenti.
Clouds In The Sky They Will Always Be There For Me, edito dalla Secretly Canadian la label presso cui sono accasati dal 2018, è un album di rottura, arriva dopo un periodo buio per Dana, alle prese con la fine di una relazione intensa e il burnout da un'industria musicale che chiede sempre di più agli artisti.
I brani del disco e la voce di Dana sono intensi e accorati tanto da apparire sgraziati a volte (Lavender, Raspberries), il genere spazia tra l’art-rock e il post-punk con gradevoli incursioni nella psichedelia, attraverso cori ipnotici ripetuti come un mantra (In a Dream I'm Painting e Anybody), fino ad arrivare al conclusivo inno indie rock Sick of the Blues, così vivido e stordito da suonare come un manifesto.
Nobody Loves You More di Kim Deal
C'è sempre tempo per una prima volta, anche se ti chiami Kim Deal, sei una delle icone dell'indie rock mondiale e hai fondato due band di culto come i Pixies e i Breeders. Nobody Loves You More, pubblicato dalla 4AD Records, proprio questo è: una prima volta, un debutto solista.
Nobody Loves You More ha avuto una gestazione molto lunga se contiamo che alcuni brani risalgono al 2011. Are You Mine? (ispirata dalla relazione difficile con la madre che soffriva di Alzheimer) e Wish I Was sono state scritte nel 2011 e pubblicate nel 2013 come parte di una serie di singoli in vinile autoprodotti.
Probabilmente è il 2020 l'anno più significativo, quello in cui il disco ha iniziato a prendere forma, quando dopo la morte dei genitori Kim si è trasferita in Florida per lavorare al suo progetto solista.
Nobody Loves You More sono 35 minuti di indie e power rock alla sua maniera, impreziosito da ottoni, archi, elettronica e dal contributo di tanti amici: la sorella Kelley Deal e il batterista Jim MacPherson hanno collaborato al pezzo d'apertura dal sound retrò Nobody Loves You More, Steve Albini ha lavorato a A Good Time Pushed prima della sua scomparsa nel maggio 2024; hanno contribuito inoltre Raymond McGinley (Teenage Fanclub), Jack Lawrence (Raconteurs), Britt Walford (Slint), Fay Milton e Ayse Hassan (entrambe dalle Savages)
E per citare la conclusiva A Good Time Pushed, non fermateci proprio ora: “we’re having only a good time”.
Songs of a Lost World dei The Cure
Non aggiunge niente alla loro discografia.
Cit.
Quante volte hai letto un commento del genere a proposito di un disco di una band di culto? A me purtroppo è capitato parecchie volte e la trovo sempre una frase arrogante.
In primo luogo un artista non scrive musica per aggiungere qualcosa alla sua discografia, forse scrive brani nuovi per guadagnarsi da vivere, ma nella maggior parte dei casi scrive musica semplicemente perché non può farne a meno.
Non penso che ci sia bisogno di scrivere qualcosa sulla biografia dei Cure, visto che di tutte le band emerse subito dopo il punk rock, alla fine degli anni 70, poche sono state così longeve e popolari come i Cure.
La band guidata da Robert Smith ha sicuramente avuto numerose incarnazioni stilistiche: dal goth rock degli esordi si sono spostati verso un sound più raffinato fino a divenire quasi mainstream e synth pop a fine anni 80. Proprio da qui, dai Cure di fine anni 80, dai Cure di Disintegration, mi piace ripartire per parlare di Songs of a Lost World.
La voce di Smith è rimasta intatta nonostante le decadi (probabilmente ha un ritratto in soffitta che invecchia al posto suo), i brani sono sorretti da chitarre sognanti e robuste sezioni ritmiche, spesso introdotti da lunghi incipit strumentali.
Il disco esplora temi di perdita, solitudine, rimpianto e la transitorietà della vita. Le canzoni si soffermano sulle relazioni interrotte, il dolore della memoria e la fragilità delle emozioni umane. È un viaggio malinconico che attraversa il tempo, l'amore e la mortalità, culminando nella ricerca di significato in mezzo alla desolazione. Ne sono uno specchio perfetto le ballad And Nothing is Forever e I Can’t Never Say Goodbye.
Per me è un ennesimo grande ritorno.
See You at the Solipsist Convention degli Yesness
Gli Yesness sono senza dubbio il best kept secret del mese di novembre!
Certo See You at the Solipsist Convention è il primo disco di questa formazione, ma i musicisti che si celano dietro al progetto sono due veterani della scena indie. Si tratta di Damon Che già batterista dei Don Caballero (math-rock) e Kristian Dunn bassista degli El Ten Eleven (post-rock).
I due si sono conosciuti virtualmente nell'aprile 2023, grazie all’intuizione e all’introduzione di Karl Hofstetter il fondatore e curatore della Joyful Noise Recording, l’alchimia è stata folgorante. Assieme ai due musicisti è proprio la Joyful Noise Recording a fornirci la terza coordinata per inquadrare questo disco - puoi già cominciare ad immaginare - .
See You at the Solipsist Convention è un disco interamente strumentale di math-rock, esuberante, variopinto e caleidoscopio, a metà strada fra Oneida, Battles e American Analog Set.
Da provare assolutamente.
Per approfondire
📈 In questo articolo il Guardian spiega come nonostante le accuse di violenza sessuale contro Sean "Diddy" Combs, i suoi streaming musicali sono aumentati significativamente.
🤖 La Human Artistry Campaign, sostenuta da oltre 11.000 artisti e professionisti, ha lanciato una petizione contro l'uso non autorizzato di opere creative per addestrare l'IA generativa, chiedendo più protezione per i diritti e i mezzi di sostentamento degli artisti.
My job here is done
Alla prossima!
(Hai notato che non scrivo mai “A presto”?)
🦃 Io, l’autore
(Questa parte qui sotto la devi leggere con la voce di Troy McClure)
Ciao, sono Francesco P, forse ti ricorderai di me per la webzine Indie For Bunnies di cui sono stato co-fondatore, o per qualche pezzo pubblicato sulla rivista musicale Losing Today, o per le mie doti comiche: "Qual è il gruppo preferito di un cartolaio?" "I Moleskine!"; o per altri Super Poteri di Merda™ come questo (seguimi per altre eroiche imprese).
Se invece è la prima volta: sei su Indie Riviera la newsletter che una volta era un blog (una volta qui era tutta blogosfera) e oggi è un avamposto indie in cui scrivo di dischi, etichette, industria musicale, libri e cultura pop in generale.
Puoi scoprire musica nuova ogni mese iscrivendoti alla Playlist di Indie Riviera.
Approdondimento molto interessante, e interessante anche il dato sul Release Radar di Spotify su cui riflettere!
Grazie, sì quel dato ha stupito anche me, anche perché da Millennials uso pochissimo le playlist di Spotify.